“Willys Mediterranea”: La Jeep che parlava siciliano

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Credo che tutti abbiano presente la leggendaria e ingegnosa Jeep Willys MB: il solido mezzo USA lanciato nel 1940 per percorrere i difficili campi di guerra in modo agile, economico e veloce. Oggi è meritatamente una vera icona, ed ogni museo a tema “trasporti” ne ospita almeno un’esemplare, spesso insieme agli altri veicoli che si sono ispirati al suo progetto, proposti dai più disparati paesi del mondo. Questo che vi racconto è uno di questi casi..quello che ci riguarda più da vicino. Tra Palermo e Carini precisamente.

Il secondo dopoguerra è pieno di speranze per il futuro, materiale fondamentale per affrontare una ricostruzione che riguarda non solo le industrie e le città, ma anche l’animo delle persone che quella guerra l’hanno sempre subita. Così nel 1950, in Sicilia, viene fondata appositamente la Cassa del Mezzogiorno e nel ’57 la SOFIS (Società per il Finanziamento dello sviluppo in Sicilia) con l’intento di incentivare lo sviluppo industriale dell’isola.

Tra queste, il 4 aprile 1960 con sede a Palermo in Via Mariano Stabile, si fonda la Willys Mediterranea S.p.a (poi IAF) che in accordo con la casa madre americana, vuole produrre in licenza la stessa auto. La società è paritetica: 49,5% Regione Siciliana, 49,5% Willys Motors Inc. (poi Kaiser Jeep Co., Toledo, USA) e l’1% alla piccola azienda OMSSA (Officine Meccaniche Siciliane Società Anonima) che dovrà costruirla in uno stabilimento a Carini (circa 3000 pezzi l’anno previsti). In questo modo la maggioranza è in terra sicula, per evitare “ripensamenti pericolosi” da parte americana. Le poche documentazioni esistenti riportano che da parte della Willys non furono versate quote in denaro, ma l’ammontare relativo sotto forma di licenza e brevetti.

Sfruttava tutte le componenti americane con qualche pezzo italiano, con l’obiettivo di produrre più avanti tutti i pezzi in Sicilia (tranne il motore, da sempre parte molto costosa da progettare produrre in proprio). Perché farla in Sicilia anziché importarle già pronte? In primo luogo perché così si aggiravano gli alti dazi presenti allora che gravavano fino al 46% sul costo, proponendola come vettura prodotta in Italia con pezzi esteri, ed in secondo luogo per il grande apprezzamento anche simbolico che riscuoteva presso la gente quale “mezzo liberatore”, con il piacere che venissero fatto nel proprio paese (quasi una stretta di mano industriale fra le due nazioni). In ogni caso attraverso la stessa società era possibile ordinare il modello Made in USA per chi lo volesse “original”.

L’auto venne presentata in due esemplari ufficialmente nel Maggio 1963 alla Fiera del Mediterraneo: uno era in versione “corta” (CJ-5 con 4 posti) e l’altro “lunga” (CJ-6 con 6 posti), disponibili in versione aperta e chiusa, sia diesel che benzina. Questi erano precisamente un 4 cilindri benzina “Willys Hurricane” da 2.199 cc per 72 cv, ed un diesel “Perkins” di origine inglese da 3.151 cc e 62 cv (98 km/h per il benzina e 74 km/h per il diesel) con un consumo rispettivamente di 14 litri/100 km e 12 litri/100 km. I prezzi variavano in base a versione, motorizzazione ed optional da 1.850.000 Lire a 2.256.000 Lire. In generale in prezzo e le prestazioni erano accettabili per il tipo di mezzo. Aveva anche tanti optional che in effetti la rendevano inarrestabile tra verricello e balestre rinforzate.

Ma nello stand era curiosamente presente anche una CJ-5 attrezzata per il lavoro nei campi. Ebbene si, perché l’auto in realtà venne lanciata come “Moto-Agricola”, ovvero alternativa leggera al trattore per permettere di ripartire dal cruciale, nell’isola, lavoro nei campi (nello stand erano circondate da vasi di fiori ed attrezzi da giardino). Quindi più un mezzo da lavoro che di “svago”.

La Mediterranea è sostanzialmente identica a quella americana, tranne che per la mascherina anteriore, con le iconiche “sette feritoie” ora più strette, i due fari ridotti di origine Fiat (per le omologazioni italiane) e quelli di posizione sopra i parafanghi. Ma fu proprio la Fiat a rappresentare forse il problema più grosso..

Nel 1951 la stessa si presentò con la mitica AR 51 “Campagnola” (lanciata alla Fiera del Levante di Bari..) vincendo un bando indetto dal Ministero della Difesa proprio per la produzione di un nuovo veicolo leggero di supporto da porre in dotazione all’esercito italiano (sull’onda della Jeep paradossalmente): la potenza della Fiat, espressa sia in ambito industriale che politico, e la maggiore modernità del progetto gli permisero di imporre un mezzo fuoristrada più in linea con le prestazioni e i prezzi richiesti dal pubblico italiano. Parliamo di 1.800.000 Lire per la benzina 1.901 cc capace di 63 cv e 100 km/h e 2.000.000 Lire per la Diesel 1.895 cc, 51 cv e 95 km/h. Caratteristiche che abbassavano anche la tassa di proprietà a vantaggio della Fiat.

Nonostante le comunque valide doti della Willys siciliana, i tentativi di spingerla verso una nicchia di mercato più esclusiva proponendola per un’uso più agricolo rispetto alla multiforme Campagnola, nel 1964 terminò la sua storia. Tra le motivazioni della chiusura è chiaro come ci sia anche un piano commerciale che non aveva tenuto troppo conto sia della concorrenza che della propria effettiva clientela di riferimento, nonostante l’impresa potesse avere potenzialmente le carte in regola per un più positivo epilogo.

Oggi è un oggetto di estrema rarità (come le foto e la documentazione) prodotta in poche centinaia di pezzi, uno dei pochi casi di produzione automobilistica Made in Sicily. Uno dei pochi, ma non l’unico come vedremo…

Federico Signorelli

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