Nel secondo dopoguerra più che mai si capì che per rimettere in moto l’economia occorreva mettere i lavoratori “su ruote”: diventò impellente quindi la necessità di proporre sul mercato delle soluzioni che permettessero a tutti di potersi spostare in modo rapido ed economico. Certamente la bicicletta era una soluzione, ma lenta e faticosa. Successivamente arrivarono scooter e motoleggere che prima di tutti si configurarono come una soluzione assolutamente valida, con semplicità, efficienza e la possibilità delle prime gite fuori porta (in fondo non si ricostruisce un paese solo con il lavoro).

Ma ben presto le due ruote iniziarono a stare un po’ strette alle ambizioni di una classe media in crescita, che adesso voleva qualcosa in più: un’automobile! Ovviamente nulla di costoso e pretenzioso, ma solo un mezzo più sfruttabile. Industriali e progettisti (meglio inventori in verità) in tutto il mondo iniziarono a proporre delle curiose e fantasiose piccolissime automobili che ben presto vennero soprannominate, nei paesi anglofoni, Bubble Car per via del loro aspetto. In Italia furono le Microcar. I tratti che accomunano questi veicoli potrebbero essere riassunti così: dimensioni minime, massimo due posti, motore derivato dal mondo delle moto, bassi costi di gestione ed un’estetica inventiva, frutto sia di estro che di ricerche geniali.

In particolare Francia, Inghilterra e Germania furono i più grandi produttori di questo genere di auto, alcuni casi interessanti si ricordano anche in USA, ma fu una moda passeggera. Del resto la Seconda Guerra Mondiale distrusse le città e le economie europee più che quelle Americane.

Anche l’Italia disse la sua in merito, anche se in misura minore per quantità, ma con straordinaria qualità dei progetti, tra questi brillano: la Volugrafo Bimbo 46 del 1945, la Alca Volpe del ’48 insieme alla Mi-Val Mivalino 175 (versione italiana rivista della tedesca Messerschmitt KR200 Kabinenroller”) e la straordinaria Iso Isetta del 1953. Per quest’ultima è giusto dire che in realtà fu già una più “vera” automobile.

Questo genere di auto iniziò ad avere un moderato successo in Italia (all’estero spopolavano) ed è per questo che anche Palermo volle dire la sua…

Il “Pulcino”

Le notizie arrivato fino a noi sono scarne, ma ci consentono di ricostruire la vicenda offrendoci un quadro generale. Nel 1948 Antonio Artesi comincia a Palermo la costruzione del prototipo di una piccolissima automobile con l’intento di lanciarla sul mercato cercando l’interesse di eventuali investitori capaci di supportare adeguatamente l’iniziativa.

Questa Microcar aveva un particolare ed efficace telaio a forma di “X” rinforzato in modo da darle la giusta stabilità e sfruttare il più possibile lo spazio a bordo, comunque per due persone. A questo si collegavano le sospensioni anteriori indipendenti con molle trasversali, e le posteriori a bracci oscillanti longitudinali corredati da ruote minime, simili per dimensioni, a quelle degli scooter. Al posteriore era montato un piccolo motore a benzina monocilindrico da 125 cc e circa 6 cv (derivazione Innocenti Lambretta 125) a due tempi e con cambio 3 marce. La trasmissione era a catena e muoveva la sola ruota posteriore sinistra (cosa che accadeva in tutte le auto di questo tipo, tra economia, peso e spazio disponibile). La lunghezza doveva aggirarsi attorno ai 2,5 metri, mentre Il peso a vuoto era di 156 Kg lanciati alla velocità massima di 50 Km/h. Per economizzare alcune componenti della stessa provenivano dal mercato: il parabrezza era della Fiat 500C Topolino come anche il piccolo volante che consentiva un raggio di sterzata di soli 2,25 m!

Pulcino 1948 di Antonio Artesi

Tutto questo era coperto da una carrozzeria spider, realizzata in acciaio, molto stondata ed arricchita da ammiccanti cromature. Era perfettamente in linea con lo stile americano dell’epoca che si ritrova nel cofano anteriore e nella griglia (in particolare quelle di certe prestigiose Pontiac e Buick). Con grandi speranze venne presentata alla “III Fiera del Mediterraneo” del 1948 a Palermo con il nome di Pulcino, dove fu premiata per il progetto. L’auto era molto interessante in effetti e riscosse grande attenzione anche tra la folla di visitatori.

La soddisfazione del sig. Artesi rimase però solo quella di raccogliere gli apprezzamenti benevoli e affettuosi del pubblico, ma non quelli degli acquirenti (o investitori) facendo rimanere la proposta un prototipo che, nonostante le più che buone possibilità, non entrò mai in produzione.

Di lì a poco il fenomeno delle Microcar in Italia si “sgonfiò”, travolto da un crescente benessere e dalle utilitarie Fiat 600 e Nuova 500 degli anni ’50, per poi ripresentarsi tra gli anni ’60 e ’70 sull’onda della crisi petrolifera ed energetica.

Eppure nella giungla palermitana di oggi la nostra Pulcino funzionerebbe molto bene…

Federico S.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.