Ci fu un momento in cui per i viali alberati immersi nei boschi del Real Parco della Favorita, rombarono i motori di potenti automobili da corsa. La cosa probabilmente fa ancor più sensazione oggi, dopo che la Favorita è divenuta Riserva Naturale Orientata, oltre che luogo da godere a piedi o in bicicletta in alcuni fine settimana. E non parliamo di auto partecipanti ad una corsa come tante, ma della mitica Targa Florio che per la prima volta vede Palermo come scenario, a suo modo epico, ma in un contesto a tinte chiaroscurate…

È il 1933 quando l’impero economico dei Florio inizia a vacillare, la famiglia più in vista e potente dell’isola si trova a dover rimodulare e razionalizzare il più possibile i propri interessi nel tentativo di “salvare il salvabile”. Purtroppo la cosa colpisce anche Vincenzo Florio e quindi la sua creatura più amata: la Targa Florio. L’organizzazione della corsa passa nel ’33 al Real Automobile Club Italia (RACI) con grande tristezza e delusione da parte di Vincenzo, che comunque continuerà a seguire la manifestazione, anche se in altro modo.

Ma la mancanza del padre della “Cursa” inizia a farsi sentire, in particolare proprio nell’organizzazione che via via peggiora sempre più; la qualità degli equipaggi ufficiali è esemplare come quella delle automobili in gara ma il grande pubblico inizia a “disertare” la corsa che sente non essere più quell’evento straordinario che l’ha trasformata nel giro di pochi decenni in leggenda.

La cosa dipende ampiamente dal fatto che adesso la competizione è fortemente politicizzata: i gerarchi del fascismo vedono l’evento come figlio del MinCulPop, il Ministero della Cultura Popolare che, avendo intuito le enormi potenzialità dell’automobile e dei suoi appuntamenti nel coinvolgere le masse, come avveniva già per la corsa delle Mille Miglia oltre che nelle più importanti competizioni europee di genere (specialmente nella Germania nazista), badò più allo sfruttamento per fini propagandistici dell’evento in se anziché alla sua qualità e importanza storica. È giusto brevemente ricordare come il fascismo, favorendo gli sport, puntava a costruire e diffondere nelle masse l’idea dell’uomo virile, forte, vigoroso e moderno, esempio da raggiungere di un’Italia imperiale e “perfetta”, rappresentata dai campioni (di oggettivo valore) come esempio eccellente al quale ispirarsi (Tazio Nuvolari, Primo Carnera fra i principali). Già all’edizione del 1935 la presenza delle autorità fasciste e di sua Altezza Reale il Principe di Piemonte Umberto di Savoia fecero capire quanto l’aria fosse ormai cambiata.

Ma la Targa Florio aveva un difetto enorme secondo le modalità ed il pensiero fascista: non consentiva una concentrazione popolare oceanica, ed in particolare in relazione ad importanti città capaci di ospitarle trasformandosi in una sorta di “megafono”. La corsa doveva cambiare sede, ed ora che Florio è completamente fuori dalla kermesse la cosa è fattibile…

Il RACI, su imposizione, decise per l’edizione 1937 di spostare la corsa a Palermo, per i viali Ercole e Diana del Real Parco della Favorita. Proprio quelli che si percorrono oggi per raggiungere ad esempio la località balneare di Mondello. Serve però dare l’impronta profonda del fascismo, così si decide di cambiare il nome della competizione, da Targa Florio a Coppa Principe di Napoli, in onore e “facciata” al principe di Savoia, da svolgersi sul ribattezzato Circuito di Palermo (prima del Parco della Favorita) lungo Km 5,260, per totali 60 giri.

Le strade vennero riassettate e preparate, risultando però sempre molto strette e pericolose: anche gli stessi lunghi rettilinei erano pieni di pericoli, determinati in particolare dalla spaventosa vicinanza degli alberi al bordo strada che in caso di incidente sarebbero stati fatali. Le velocità raggiungibili erano anche abbastanza elevate (fino a 140 km/h in corsa) ed anche per questo si pensò quindi di vietare clamorosamente i sorpassi proprio nei rettilinei che però rappresentavano gran parte del tracciato; il circuito insomma era pieno di controsensi ma veniva decantato dal partito come “recante l’impronta geniale e incancellabile del fascismo”.

La partenza ed i box si trovavano all’interno dell’ippodromo (voluto al tempo dagli stessi Florio tra l’altro), che si univa al tracciato diventando una variante, corredato di tabellone segnapunti, tribune vip e direzione di gara. Nel 1938 verranno apportate altre modifiche nel tentativo di aumentare la sicurezza rendendolo anche più spettacolare e competitivo, ma senza grandi risultati: la manifestazione andò avanti fino al 1940 per poi interrompersi a causa dell’entrata in guerra e del ritorno sulle Madonie per la prima edizione del dopoguerra nel 1948.

Le vicende raccontate comprensibilmente non gettano una luce positiva su questa parentesi palermitana della Targa Florio, ma senza dubbio fu un grande evento per la città, protagonista in un modo o nell’altro nel motorismo nazionale: Luigi Villoresi, Piero Taruffi, Franco Cortese, Giovanni Rocco sfrecciarono su quelle strade che oggi portano turisti e palermitani verso la spiaggia ma che al tempo animarono gli appassionati, desiderosi di vedere le gesta di quei campioni e delle loro automobili (Bugatti, Alfa Romeo, Fiat e su tutte le veloci Maserati tipo 6CM e 4CL che monopolizzarono gli anni in Favorita). La prima edizione fu vinta da Giulio Severi su Maserati 6CM ad una media di 107 km/h, mentre si chiuse con il grande Luigi Villoresi su Maserati 4CL ad un media di 142 km/h.

Quando vi troverete a passare per quei viali guardate bene nel vostro specchietto retrovisore, magari con un po’ di fantasia potreste trovarvi una rossa Maserati che vi chiede strada; dopotutto siete pur sempre su un’ex circuito automobilistico!

Articolista del tempo:
“La trentesima Targa Florio – III Coppa Principe di Napoli, si è svolta sul magnifico nuovo circuito della Real Favorita in un’atmosfera di particolare entusiasmo.
Una gara spettacolare, velocissima, palpitante, favorita dall’entusiasmo del pubblico che è accorso numerosissimo ad assistervi; una gara che ha avuto, per virtù di piloti, momenti di viva emozione per la durezza e lo stile con cui è stata decisamente condotta…”

Federico Signorelli

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