Antichità e protezione antiaerea a Palermo: un nuovo progetto di ricerca

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Musei e antichità a rischio durante il secondo conflitto mondiale.

In questa sede si è spesso discusso della Seconda Guerra Mondiale. Essa portò certamente distruzione a Palermo mettendo a dura prova il morale della popolazione locale e causando anche numerose vittime civili. Quando le bombe colpivano la città, i danni potevano essere ingenti: gli ordigni, sganciati soprattutto dalle aviazioni degli eserciti alleati, distruggevano interi palazzi, strade, edifici pubblici e chiese. Tuttavia, cosa sappiamo degli effetti della guerra sulle antichità e i musei della Sicilia e di Palermo?

Per rispondere a questa (apparentemente) semplice domanda può venirci in aiuto il recente progetto di ricerca Cultural Heritage in Danger: Archaeology and Communities in Sicily during the Second World War (1940–45). Condotto presso la Ghent University (Ghent, Belgium) a partire da ottobre 2019 e finanziato dall’European Research Council (Consiglio Europeo per la Ricerca) nell’ambito dei fondi Marie Curie Individual Fellowships, il progetto mira a valutare l’impatto della guerra sulle antichità siciliane, considerando gli effetti sulla protezione di siti archeologici, monumenti antichi e musei. La guerra mise a dura prova la salvaguardia e l’integrità di questo patrimonio, che, come tutti sanno, è davvero sostanziale in Sicilia.

Basato su un’accurata ricerca presso archivi siciliani e anche Italiani (e.g. a Roma), il progetto ha permesso di analizzare numerosi documenti che gettano nuova luce anche sui rapporti/reti sociali (networks, in inglese) tra le autorità locali (civili e militari) che agivano in Sicilia per supervisionare o a volte occupare militarmente siti archeologici e musei. Questo approccio è davvero intrigante e permette di osservare come spesso i rapporti tra militari e soprintendenti locali non fossero rosei. I primi volevano a tutti costi difendere la patria dagli attacchi del nemico e da ogni possibile invasione (che, per altro, avvenne realmente nel luglio 1943), mentre i secondi miravano a salvaguardare le antichità isolane, nobile patrimonio lasciato in eredità dopo secoli e secoli di storia. Ciò è evidente per esempio ad Agrigento, dove l’archeologo Pietro Griffo lottò contro le ingerenze di alcuni militari che avevano occupato il sito archeologico e minacciavano il patrimonio monumentale. Le reti sociali gettano anche nuova luce su alcuni personaggi poco noti o fino ad ora ignoti, come ad esempio custodi, spesso efficienti nel sorvegliare scavi o intervenire in caso di bombardamenti nei musei locali.

Cosa succedeva a Palermo? Storicamente, i bombardamenti furono scaglionati a partire dal 1940 e, come è facile aspettarsi, divennero via via più intensi con l’avvicinarsi dell’Operation Husky, che portò gli Alleati in Sicilia. Dagli inizi del 1943 numerosissime bombe caddero su Palermo e colpirono non solo edifici civili ed abitazioni.

Sappiamo dunque che il patrimonio culturale della città di Palermo fu duramente colpito durante i bombardamenti. I danni maggiori interessarono soprattutto le chiese o gli edifici storici, spesso ridotti in rovina. A volte lo sono tutt’ora dopo quasi ottant’anni dalla fine del conflitto. Le ferite furono dunque a volte insanabili anche per il patrimonio culturale. A Palermo vi furono anche interferenze militari in città, a volte per costruire opere di difesa contro attacchi nemici. Durante i bombardamenti a tappeto o a volte mirati le bombe potevano indiscriminatamente colpire chiese e palazzi storici nonostante gli obiettivi militari fossero diversi. Uno dei luoghi strategici di Palermo era certamente il porto, essenziale per il rifornimento della città e per eventuali movimenti della flotta italiana.

Chiostro del Museo Archeologico “A. Salinas” (Palermo) (foto dell’autore).

Il Museo Nazionale, allora diretto dalla coraggiosa Jole Bovio Marconi (1897-1986), archeologa e curatrice, nonché Soprintendente (una delle primissime donne in Italia a ricoprire questo ruolo) e moglie di Pirro Marconi, si trovava vicino al porto. Fu quindi colpito da bombardamenti numerose volte, a volte con danni ‘indiretti’. Ciò significa che una bomba poteva cadere nelle vicinanze e causare, grazie allo spostamento d’aria, la distruzione di vetri, infissi e porte. O, peggio ancora, i danni ‘diretti’ potevano essere ben più distruttivi. Infatti, il museo fu centrato da una bomba nell’aprile del 1943, distruggendo un’intera ala dell’istituzione e causando un danno enorme alla struttura stessa. Ci si potrebbe domandare: cosa successe alle collezioni lì depositate?

Fortunatamente, osservando le imposizioni dettate dal Ministero dell’Educazione Nazionale, organo supremo per la salvaguardia del patrimonio culturale, diretto per diversi anni da Giuseppe Bottai (1895-1959), Bovio Marconi aveva trasferito gran parte dei reperti altrove. Poco prima della guerra si era stabilito che il rifugio principale fosse l’abbazia di San Martino delle Scale, paese nei pressi di Monreale e non distante da Boccadifalco. Attrezzato in alcuni sotterranei, il rifugio ospitava numerosissime opere tra le più varie, quali statue, sculture in legno d’età medievale e moderna, quadri, vasi antichi, iscrizioni greche e romane, monete, etc. Insomma, un grande punto di raccolta per tutta Palermo. Le opere erano messe in apposite casse di legno, opportunamente numerate.

San Martino delle Scale (cartolina degli anni ’50).

Stremata dalla guerra, Bovio Marconi sicuramente gioì quando gli americani entrarono a Palermo nel luglio del 1943. La città era finalmente libera e la guerra era finita. Gli alleati avevano fondato la prima sede dell’Allied Military Government of Occupied Territories (AMGOT), organo militare per gestire l’occupazione dell’isola e guidare le autorità e la popolazione locale verso un nuovo governo democratico, dopo la caduta del Fascismo. Insieme ai soldati americani (piloti, paracadutisti, artiglieri, generali, etc.) vi erano alcuni uomini ‘speciali’, i cosiddetti “Monument Officers”, membri dell’esercito reclutati presso università o musei in America ed in Inghilterra che avevano un compito ben preciso: salvaguardare il patrimonio culturale dei territori occupati. Molti di voi avranno visto il celebre film The Monuments Men (2014) dove una squadra di “officers” opera in modo avventuroso per recuperare alcune opere d’arte.

In Sicilia il primo fu il capitano Mason Hammond (1903-2002), professore di Latino e Storia Romana alla Harvard University negli USA. Appena giunto a Palermo, Hammond prese contatti con i soprintendenti dell’isola, tra Guiotto, Griffo e soprattutto Bovio Marconi. Il capitano fu davvero un abile mediatore (oltre che colto e ben preparato) e collaborò con successo con la soprintendente. Uno dei compiti principali di Hammond era quello di ispezionare siti, monumenti e musei dell’isola per verificarne l’integrità. Palermo, duramente colpita dai pesanti bombardamenti, era in ginocchio. La sistemazione e riapertura delle chiese era tra le priorità dell’AMGOT per quanto riguarda la salvaguardia i beni culturali. Avendo gli Alleati causato i danni maggiori, si misero a disposizione per finanziare i primi interventi di restauro. Pertanto, Bovio Marconi lavorò a stretto contatto con Hammond, il quale stanziò prontamente dei fondi per i primi interventi. La Sicilia, l’isola dove il nuovo fronte della guerra del Mediterraneo si aprì con l’Operation Husky, era finalmente libera della guerra. L’Italia si arrese l’8 settembre 1943 con conseguenze a dir poco epocali per la nostra storia; la nazione doveva ancora affrontare due anni di durissima guerra. Cosa accadde in Sicilia subito dopo? È certo che l’isola fu salva dai bombardamenti. La ricostruzione iniziò con grandi difficoltà. E i beni culturali e le antichità? Dopo le prime ispezioni dei soprintendenti e di Hammond, si mise mano ai lavori. Il Museo Nazionale, simbolo dell’archeologia siciliana, un tempo voluto e creato dall’archeologo Antonino Salinas (1841-1914), era in condizioni disastrose. La ricostruzione fu lunga; iniziata grazie all’AMGOT, proseguì con l’aiuto del Genio Civile. Bovio Marconi dovette poi trasferire da San Martino tutte le opere archeologiche. La guerra era finita e il museo tornava al suo splendore. Nonostante i gravi rischi del conflitto e grazie all’impegno di Bovio Marconi, custodi e personale tecnico, tutte le opere erano salve e noi possiamo ancora ammirarle al “Salinas”.

“Cultural Heritage in Danger: Archaeology and Communities in Sicily during the Second World War (1940–45)” project has received funding from the European Research Council (ERC) under the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme (grant agreement No. 835876).

Antonino Crisà

Sito web: https://sicilywar.wordpress.com/.

Informazioni sull’autore: https://www.antoninocrisa.com/.

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