I Bianchi tra religione e mistero

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di Sandro Mammina

 E’ il settembre del 2001 ci troviamo a Palermo all’interno del Mandamento Tribunali e più precisamente nell’antico quartiere della Kalsa dall’arabo al Halisah ovvero l’Eletta. Qui si trovava la cittadella fortificata realizzata tra il 937 ed il 938 dall’emiro Halil Ibn Ishaq e che copriva un’area di ben otto ettari che delimitavano a nord con l’attuale piazza Marina e con quelle che oggi sono via dello Spasimo, vicolo dei Bianchi, via Merlo e via Castrofilippo.

Quasi di fronte alla chiesa dello Spasimo avvolto da impalcature e ponteggi un grande edificio, per decenni in abbandono, sta per tornare a nuova vita. All’interno si  lavora febbrilmente per concludere in tempo i lavori di restauro di uno dei monumenti più affascinanti e pieni di storia della città: l’Oratorio dei Bianchi.

I lavori di scavo avevano portato alla luce una necropoli islamica con quello che rimaneva dei corpi rivolti verso la Mecca e poi, inglobata tra le mura del monumento, la porta più antica della città ovvero una delle quattro porte che regolavano l’accesso della città fortificata e cioè la bab al-Futuh ovvero Porta della Vittoria da cui secondo tradizione nel 1071 entrò trionfante il normanno Roberto il Guiscardo dopo avere  espugnato la cittadella.

Gli altri tre ingressi erano: la bab as-Sanaah ovvero Porta dell’Arsenale, la bab al-Bunud o Porta delle Bandiere e la bab Kutamah dal nome di una tribù di berberi che si erano insediati nei paraggi.

L’Oratorio si trova in prossimità della chiesa dello Spasimo, ed oltre  ad essere architettonicamente il più grande della città era la sede della compagnia più antica, della più importante, esclusiva e prestigiosa di Palermo: “La nobile primaria compagnia del SS. Crocifisso” detta dei Bianchi dal colore della loro veste e dal cappuccio, ma andiamo per ordine.

La compagnia venne fondata su impulso di un francescano tale Pietro Paolo Caporella era il 1541 e trovò da subito il sostegno del viceré Ferdinando Gonzaga. La prima sede della compagnia si insediò all’interno della chiesa della Madonna della Candelora oggi non più esistente e nel corso degli anni si spostò in altri siti come il convento di san Francesco e precisamente nella chiesa di San Nicolò. Infine trovò sede definitiva con la fondazione del primo oratorio nel 1542 costruito sopra le mura della chiesa della Madonna della Vittoria, chiamata così in omaggio alla tradizione che vuole l’apparizione della Vergine ai Normanni vittoriosi proprio sopra la porta  d’ingresso della cittadella araba.

 Nel corso dei secoli il sito ha subito diversi rifacimenti mirati ad ingrandire gli spazi fino ad inglobare la chiesa della Vittoria, l’aspetto attuale dell’oratorio è quello dovuto agli ultimi lavori databili alla fine del XVIII sec.

Lo stesso viceré Gonzaga divenne uno dei membri fondatori della compagnia, ciò fece si che questa godesse di particolari privilegi unici nel loro genere.

Per cui attraverso precise disposizioni di legge i confratelli dovevano essere gli unici ad indossare l’abito bianco; nessuno doveva osare infastidire i fratelli durante la questua e cioè il sabato; inoltre tutti i condannati dai tribunali cittadini dovevano essere consegnati alla compagnia nei tre giorni precedenti l’esecuzione per la pratica del “confortorio” che serviva a purificare l’anima del condannato a farlo pentire e ad ottenere magari una piena confessione; i membri della compagnia avevano diritto al primo posto nel corteo processionale del SS Sacramento. Non ultimo tra i privilegi  i Bianchi erano gli unici che dopo avere accompagnato il condannato per tutto il tragitto che partiva dalla Vicaria, cioè dalle carceri, potevano varcare lo steccato che delimitava la forca durante le esecuzioni e li disporsi.

Ma il privilegio più  grande accordato ai Bianchi, che ricordiamo erano anche familiares dell’ Inquisizione, risale al 1580 e fu quello relativo al periodo pasquale, per cui il Venerdì Santo un condannato a morte a giudizio insindacabile della compagnia veniva graziato. Tale privilegio dopo un periodo di disuso venne ripristinato nel 1707 da don Ottavio Gravina principe di Rammacca nella qualità di Governatore della città. I membri della compagnia erano scelti esclusivamente tra le nobili famiglie, tale status era infatti la conditio sine qua non per accedervi. Di essa fecero parte tutti i viceré di Sicilia, tutti gli arcivescovi di Palermo e come si diceva prima molte tra le famiglie più blasonate ed importanti del regno, fece parte della compagnia persino colui che poi venne proclamato santo e che risponde al nome di Camillo de Lellis.

Nel corso degli anni le regole di ammissione ai Bianchi divennero sempre più restrittive, per cui ogni nuovo ammesso doveva avere tre avi facenti parte della compagnia, la famiglia di appartenenza doveva vantare nobili origini da almeno centocinquanta anni, per gli appartenenti al clero inoltre il titolo minimo richiesto era quello di dottore in teologia e via così. Come santo protettore della compagnia fu scelto San Giovanni Decollato poiché fu un condannato a morte e non a caso tale tema fu scelto in alcuni dipinti interni alla struttura.

L’ingresso principale all’oratorio è quello che da su piazza dei Bianchi, sul prospetto è apposto lo stemma della famiglia Alliata pincipi di Villafranca che  aveva finanziato questa parte di oratorio e che vantava un membro della loro famiglia don Fabrizio tra i fratelli della compagnia. Oltre il portale ammiriamo il maestoso scalone in bianco di Carrara che alterna in tre livelli una rampa centrale, una doppia rampa per finire in un’unico scalone, lungo le pareti ai lati delle scale dentro della nicchie vi sono statue e medaglioni a tema religioso.

 Lo scalone porta al primo piano e precisamente nell’antioratorio, qui tra le porte d’ingresso all’aula vi è il “tosello reale” un dipinto che raffigura un grande manto di ermellino al centro del quale verosimilmente vi era collocato il ritratto del sovrano.

Quindi si accede alla grande aula oratoriale dal pavimento in maiolica settecentesca per le poche parti originali, poi lungo le pareti una serie di affreschi, così come nella controfacciata, con scene che hanno per tema le Sacre Scritture, gli autori sono rispettivamente Giuseppe Testa ed i fratelli Mercurio. Sul presbiterio si trova una pala d’altare dipinta nel 1800 da Antonio Manno, oltre si accede verso altri ambienti quali un piccolo oratorio detto della “Buona morte” e lo splendido “Salone Fumagalli” interamente decorato in trompe l’oeil nel 1776 dall’omonimo pittore di origini romane, ambiente conosciuto anche col nome di “Sala degli Aggiontamenti” e che ospitava le riunioni della compagnia.

E’ singolare una regola che i fratelli si erano dati e cioè quella per cui i Bianchi potevano iscriversi ad altre compagnie ma non viceversa, nessuno appartenente ad altre compagnie era infatti ammesso alla loro.

Il marchese di Villabianca ebbe a chiamare “Oratorio secreto” l’Oratorio dei Bianchi poiché le pratiche verso i condannati e soprattutto le cerimonie che vi si svolgevano erano protetti con la regola del segreto.

A tale proposito appaiono certamente di notevole interesse all’interno dell’oratorio le pitture che decorano alcune delle  pareti dell’aula come per esempio quelle che si trovano sopra i due corridoi di collegamento con il Salone Fumagalli.

Ebbene tali pitture ad uno sguardo attento riproducono un’ intera serie di simboli esoterici e massonici: il Tau, l’elefante con l’astro splendente, il libro, la stele ottagonale inghirlandata, il triangolo con l’occhio della provvidenza, la vite e la spiga, la conchiglia, il doppio pesce…

Tutto ciò fa pensare che i Bianchi nel corso della loro attività siano stati tra l’altro certamente un centro di “potere occulto”, sono alle cronache le manovre all’interno della compagnia per salvare un condannato piuttosto che un altro. E su tale scelta era sicuramente discriminante non certamente la pietà cristiana ma piuttosto censo e posizione sociale, calcolo ed interesse.

La compagnia ha quindi rappresentato un club come diremmo oggi di privilegiati nato per nobili motivi si ma che nel corso del tempo ha cambiato le sue finalità. Un grande potere era concentrato in mano ad un ristretto numero di persone di “eletti” e più di una volta gli interessi dei Bianchi entrarono in contrasto per esempio con quelli del Santo Uffizio, alla fine di nobile erano rimasti solo i titoli di chi vi faceva parte.

 Oggi l’0ratorio è fruibile in ogni sua parte è infatti di proprietà dell’Assessorato regionale ai Beni Culturali, dopo i restauri è stata collocata la porta araba in legno risalente al 956. Qui inoltre sono stati trasportati e collocati, da quelli che sono i magazzini di Palazzo Abatellis, gli stucchi serpottiani che adornavano il distrutto monastero delle Stimmate raso al suolo nel 1875 per permettere l’ edificazione del Teatro Massimo.

Fonti bibliografiche :
P. Palazzotto – Palermo Guida agli oratori- ed Kalòs 2004
M.C. Ruggieri Tricoli – L’architettura degli oratori di Palermo – ed. Ila-Palma 1996

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