Auschwitz, 20 Gennaio 2018 ore 16:40

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Sulle tracce della Memoria – Auschwitz

Oggi ci lasciamo portare dalle parole di Simona Rabboni sulle tracce di Auschwitz esattamente 73 anni dopo la scoperta dell’ignominia e dell’orrore.

Auschwitz, 20 Gennaio 2018 – ore 16:40

Sono appena uscita dal campo. Negli ultimi trenta minuti l’angoscia ha preso il sopravvento. Per quanto abbia tentato di prepararmi psicologicamente, nei lunghi ottanta chilometri percorsi da Cracovia, una volta scesa dal bus per la cittadina di Oswiecim, dove si trovano i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, il posto è davvero desolante. Mi provoca una certa inquietudine camminare nello stesso luogo in cui hanno perso la vita migliaia di innocenti.

Il caso ha voluto che sono arrivata alle due del pomeriggio, due ore dopo l’inizio del tour previsto per gli italiani ma, col senno di poi, credo che nulla avvenga per caso. Forse non avrei potuto documentare così questa mia visita che auspico possa essere utile a tutti coloro che oggi riescono ancora a fermarsi un attimo per “riconnettersi” alla vita reale.

Andare ad Auschwitz è stata per me una ricerca. La ricerca delle mie, delle nostre radici.  Questa mattina ha nevicato e ciò ha reso l’atmosfera ancora più tetra di quanto non fosse già. Giunta davanti la celebre frase posta sull’ingresso “Arbeit macht frei” – letteralmente – “Il lavoro rende liberi”  provo una forte stretta allo stomaco. Mi chiedo cosa possano aver provato coloro che sono stati accolti da questa frase agghiacciante ed, in seguito, hanno subito atti disumani, per la folle cattiveria di Adolf Hitler e dei suoi seguaci. Tra i suoi seguaci ci sono stati anche alcuni medici i quali hanno ingiustamente approfittato di quella terribile situazione per sottoporre tantissimi bambini a dei macabri esperimenti.

Ciò che ho provato visitando i vari blocchi numerati, rigorosamente tutti identici, è un senso di sdegno e nausea che mi hanno accompagnata per tutta la visita.

La prima parte degli edifici, chiamati blocchi, ospita oggi molte preziose testimonianze dei sopravvissuti ai lager nazisti. Testimonianze utili al processo di Norimberga.

Continuando la mia visita, alla mia sinistra noto una torre alta di colore marrone chiaro che prevale sul resto dell’edificio. A primo acchitto mi chiedo cosa sia. Mi accorgo che fa parte di un edificio diverso dagli altri. Più scuro, più spaventoso. All’ingresso trovo una lapide nera in cui si chiede di osservare rispettoso silenzio per l’atroce morte di migliaia di persone proprio all’interno dello stesso edificio. Questo è il luogo in cui tanti bambini, anziani, uomini e donne ormai ritenuti “inutili” per i lavori forzati hanno trovato la morte, con l’inganno di stare andando a fare una semplice doccia. La prima stanza alla mia destra è piccola e buia. Qui veniva chiesto ai malcapitati di appendere i propri abiti, le divise a strisce, tenendo a mente dove fosse la propria per evitare di confonderla con le altre. Peccato che le divise fossero rigorosamente tutte uguali. Spesso la morte dei prigionieri avveniva per cause naturali, assideramento o denutrizione; oppure per soffocamento da vomito e avvelenamento a causa delle finte docce.

Venivano fatti entrare in questo edificio simile ad una fabbrica, fatti spogliare e successivamente indirizzati in un lungo corridoio buio con delle piccole fessure sul tetto, dei tombini, attraverso i quali i soldati tedeschi, dall’esterno, facevano scivolare giù dei piccoli sassolini blu che, a contatto con l’aria, cambiavano colore e iniziavano a sprigionare un veleno che provoca dolori lancinanti, vomito e morte. I soldati tedeschi dopo essersi assicurati che tutti i prigionieri fossero entrati nell’edificio lo chiudevano dall’esterno. Ottenuto il loro macabro obiettivo, i corpi venivano spostati in una grande stanza alla mia sinistra, avente lo stesso perimetro delle cosiddette docce dove, ancora oggi, vi sono due enormi forni crematori, ognuno dei quali riusciva a bruciare tre corpi contemporaneamente. Ogni giorno venivano bruciati millequattrocento corpi circa.

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Quello che mi ha più colpito è la sensazione di freddo nell’aria. Come se il tempo si fosse fermato ma queste anime sono finalmente libere e leggere. Hanno patito troppa sofferenza. In quel momento ho sentito di dovermi fermare davanti i forni crematori. Non so quanti “Eterno riposo” ho recitato. Avrei voluto farlo per ognuno di loro. Anche se non li conosco, potevano essere mio nonno, mia nonna, o un parente. Le lacrime scendono sul viso senza che me ne accorga. Nonostante la giornata rigida sento un forte calore nel mio corpo. E’ la rabbia che mi pervade. Rifletto e penso che siamo tutti esseri umani su questa terra, anche se di colore o lingua differente. Tocca a noi, oggi, ricostruire i pezzi della torre di Babele. Trovare un dialogo.  Quanto accaduto ci serva da monito per il nostro futuro. E’ vero, esiste ancora la cattiveria nel cuore di alcuni ma noi siamo di più. Soltanto informandoci, leggendo, ascoltando i nostri insegnanti possiamo e potremo difendere la nostra storia.

In un altro edificio, di cui mi sfugge il numero, sono raccolte immagini satiriche, articoli della stampa e di propaganda della resistenza del periodo. E’ stato bello vedere con quanto impegno sia stata portata avanti. Movimenti di civili di organizzarono in tutta Europa: polacchi, sovietici, inglesi e anche italiani. I nostri partigiani, incoraggiati dall’allora presidente Sandro Pertini che invitò tutti gli italiani allo sciopero generale, ponendo i soldati tedeschi di fronte al dilemma “Arrendersi o perire!”.

Ho potuto osservare tante carte geografiche in cui sono indicati i vari bombardamenti e spostamenti, sia dei nazisti che dei vari movimenti di liberazione.

Gli edifici cinque e sei ospitano oggi una raccolta di oggetti appartenuti alle vittime; gli stessi oggetti di cui sono stati privati all’ingresso del campo: valigie, scarpe e abiti. Infine pentolini e protesi, busti, stampelle, capelli e protesi dentarie.

Questa è stata la mia ultima tappa. Ho dovuto abbandonare di corsa il campo perché ho provato davvero un forte senso di oppressione e claustrofobia, delle quali non soffro abitualmente, così ho dovuto chiedere al mio fidanzato di portarmi via da lì perché ho seriamente iniziato a perdere il senso dell’orientamento. Voglio esprimere la mia più sincera solidarietà a tutti coloro che non ci sono più e alle loro famiglie.

Vi svelo un piccolo segreto: quando andavo a scuola avevo nove in italiano e cinque in storia perché chiedevo sempre al mio prof. di lettere il motivo per cui alcuni decidono di farsi la guerra poi tocca a noi cittadini comuni ricordare le date. Beh, oggi, a trent’anni, vi rispondo che la storia è importante, direi fondamentale, anche se, talvolta, può sembrare noiosa, pesante, dura da digerire. E’ proprio la storia ad aiutarci ad aprire la nostra mente.

Credo che sia di fondamentale importanza visitare ancora oggi luoghi come Auschwitz e Birkenau per riportarci con i piedi per terra e ricordare ai nostri giovani che vivere liberi come siamo oggi è un privilegio. Penso che nella vita nulla sia scontato e forse dovremmo fermarci più spesso a ringraziare la nostra buona stella o chi più si preferisce per essere nati in un periodo che, seppur pieno di difficoltà economiche, non è poi così brutto come vogliono farci credere.

Inoltre, questa mia testimonianza, vuole essere un invito a tutti noi cittadini del mondo a riflettere e cercare di avere un occhio critico su quanto ci circonda perché, senza alcuna retorica, c’è chi per la nostra libertà ha dovuto lottare per ottenerla ed, oggi, dovremmo ricordarlo più spesso per far si che tutti i sacrifici dei nostri nonni siano serviti a qualcosa e noi, che oggi siamo il loro futuro, possiamo renderli orgogliosi.

Simona Rabboni

Letture consigliate:

  • Liliana Segre “Sopravvissuta ad Auschwitz”
  • Enrico Mentana, Liliana Segre “La memoria rende liberi”
  • Primo Levi “ Se questo è un uomo”
  • Alberto Mieli, “Questa era la nostra unica colpa”

 

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